top of page

Giorgia non vince Sanremo ed è subito patriarcato!

Immagine del redattore: Andreas PeruginiAndreas Perugini


La musica italiana ha un problema: il patriarcato! O forse no. O forse sì, ma solo quando ci fa comodo. Prendiamo il caso di Giorgia, che torna in gara a Sanremo 2025 con la sua  tecnica e la voce angelica e potente, ma -sorpresa!- non vince. Com'era prevedibile, le femministe insorgono: "Ma come? Un'altra donna esclusa dal podio? Ma allora è un complotto!". Orde di critici musicali improvvisati nei salotti tv berciano: “Sanremo Patriarcale!" e “Ridateci Giorgia!".

Ma fermiamoci un attimo a riflettere: è davvero il maschilismo sistemico il problema o semplicemente Giorgia non ha raccolto abbastanza voti? Perché, vedete, esiste questa cosa chiamata "democrazia " (che poi sia spesso pilotata dalle radio che volevano però Giorgia è un altro discorso), e funziona così: si vota chi piace di più. E l'anno scorso, guarda caso, ha vinto una donna: Angelina Mango. Annalisa terza e alla Bertè premio della critica. Ma questo, a quanto pare, non conta. Nessuno sembra ricordarselo. Non ricordano neppure che il festival si è aperto col premio alla carriera a Iva Zanicchi. 

Eppure, c'è chi ritiene che il festival andrebbe riformato per garantire una rappresentanza femminile degna, magari con le famigerate quote rosa nelle classifiche finali. La meritocrazia? Roba vecchia! E allora perché non assegnare una vittoria automatica ogni due edizioni a una donna, giusto per pareggiare i conti? Così, per sicurezza.

E qui arriva il dilemma: se per supportare la presenza femminile nel panorama musicale decidessi di votare Serena Brancale perché, diciamocelo, è oggettivamente bona oltre che semplicemente donna, starei facendo un gesto politicamente corretto o cadrei nel più becero sessismo? È un voto di consapevolezza o di testosterone?

La stessa dinamica si è vista recentemente a X Factor, quando la cantautrice dichiaratamente lesbica Francamente (che per me avrebbe dovuto vincere) ha denunciato in diretta che in finale sarebbe andata una sola donna su cinque artisti. "Uno scandalo!", ha berciato pure la  giudice Paola Iezzi col suo pippone moralista auspicando che il Paese tutto si dia una “regolata”. Peccato che poi a vincere sia stata proprio l'unica donna in finale, Mimì, che oltretutto è nera. E qui nasce un'altra riflessione: se il voto deve rispondere a una logica di rappresentanza politicamente corretta, a questo punto, meglio votare una donna nera piuttosto che una donna bianca lesbica? Perché, tra nero e gay, il nero balza più all'occhio e garantisce un punto in più sulla scala della correttezza politica. Temo che Francamente col suo appello politicamente corretto un attimo prima del voto si sia tirata la zappa sui piedi.

Il bello è che il dibattito su queste tematiche finisce sempre per aggrovigliarsi su se stesso. Perché, alla fine, il problema non è mai se un’artista è brava, carismatica o se ha portato la canzone della vita: il problema è che, se non vince, qualcuno grida al patriarcato. E se vince? Beh, allora ha vinto perché dovevano per forza far vincere una donna. Insomma, non se ne esce.

Nel dubbio, l'anno prossimo proporrei di abolire del tutto la gara, rigide quote rosa e, infine, sorteggiare il vincitore con un generatore casuale di nomi. Così evitiamo qualsiasi sospetto di ingiustizia di genere e, nel caso di vittoria femminile, evitiamo di doverci interrogare se sia stata meritata o "dovuta".

Fino ad allora, continuiamo a indignarci nei salotti TV e, nel frattempo, ascoltiamoci un po' di musica. Magari anche di Giorgia, che merita a prescindere dai premi , soprattutto per avere nel suo repertorio quel capolavoro della musica Italiana che è Gocce di Memoria.

 
 
 

Comentários


bottom of page