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Immagine del redattoreAndreas Perugini

I femminicidi sono in costante calo




MALGRADO IL CASO DI GIULIA, I FEMMINCIDI SONO IN CALO

Puntualmente, ci risiamo. Il caso del momento è l’omicidio di Giulia Cecchettin da parte di Filippo Turetta. I media hanno subodorato il sangue della vittima una settimana prima e hanno professionalmente preparato il terreno per la loro morbosa speculazione, accerchiando la casa della famiglia o la scuola di provenienza.  Così una tragedia famigliare è divenuta nazionale e un caso criminale la dimostrazione di un fenomeno globale. Ma non è così!

Va detto preliminarmente che il neologismo “femminicidio” è stato anch’esso storpiato dai media, rispetto a quando fu coniato, arrivando, in sostanza, a includere tutti gli omicidi di donne compiuti da uomini, quando inizialmente indicava solo quelli che rappresentano l’ultimo atto di violenza di un uomo perpetrato in un contesto culturale patriarcale. Difficile pensare che svuotare le parole di senso possa portare beneficio alla causa. Ma tant’è.

Come si diceva, il caso singolo viene strumentalizzato per distorcere la realtà dei fatti e del quadro nazionale del fenomeno. Siamo ben lungi dal rappresentare un’emergenza nazionale o una deriva culturale o ancora peggio l’esigenza di dover rieducare un intero genere, quello maschile, colpevolizzandolo in toto, esercitando quindi qui sì una violenza sociale, culturale e psicologica, intollerabile.

Se andiamo ad analizzare i numeri scopriamo, infatti, che il quadro della situazione, al di là delle speculazioni dei media e delle istituzioni al traino, all’insegna del motto “pianga, pianga qui nel microfono!”, dipingono una situazione tutt’altro che allarmante. I cosiddetti “femminicidi” in Italia sono ai minimi storici e questo Paese è uno di quelli, al mondo, in cui se ne verificano di meno in assoluto. Ecco la verità vera, al di là delle fake news mainstream politicamente corrette e di quelle istituzionali.

Anche quest’anno il già esiguo numero assoluto registra una contrazione.  A oggi, nel 2023, contiamo 39 vittime. Nel 2022, ne abbiamo registrate 57. Nel 2018, furono 71. In 5 anni (lasso di tempo sensato per trattare numeri assoluti così esigui), registriamo un calo significativo di oltre il 20%. Ma i  “femminicidi” sono un sottoinsieme degli omicidi di donne e degli omicidi in generale che seguono andamenti simili. 101 sono tutte le donne uccise nel 2023. 124 quelle uccise nel 2022. Nel 2018, furono 130.

La curva statistica del fenomeno criminale è costantemente in discesa da decenni e gli attuali numeri assoluti sono così ridotti che un singolo episodio statisticamente può incidere notevolmente. Si pensi che basterebbe una strage scolastica “all’americana” per stravolgere il dato, con uno straordinario +10%.

Ma si potrebbe dire di più: è normale vi sia, in ogni società sana, una certa percentuale endemica di criminalità. La totale assenza, piuttosto, desterebbe allarme. Solo entro strutture sociali fortemente autoritarie o distopiche si potrebbe spiegare un tale fenomeno.

Recentemente si sono registrati un paio di infanticidi (uno ogni due settimane). Si tratta di una tipologia di omicidio particolarmente efferata, che vede spesso le donne come protagoniste, ovvero assassine, ma nessuno si è mai sognato di dire che queste, nel loro complesso, andrebbero rieducate alla maternità o che dovrebbero fare mea culpa in quanto donne.

Vi rendete conto di cosa succederebbe se solo qualcuno provasse a fare questa considerazione? Anzi, spesso a prevalere è una certa tendenza assolutoria: la donna carnefice muta istantaneamente in vittima incompresa e non supportata sufficientemente dalla famiglia o dalla società. Con l’uomo assassino, invece, il disagio mentale o l’emarginazione sociale lasciano spazio al regime del patriarcato: egli uccide sempre perché agisce machisticamente in suo nome. La donna, al contrario, ammazza i figli perché vittima di esso.

Bisogna essere consapevoli di queste storture mediatiche che alimentano anche le istituzioni e mantenere una certa lucidità analitica. Sarebbe il caso di ripudiare la morbosità mediatica che mette in pasto alla Nazione quelle che dovrebbero rimanere quanto più possibile tragedie famigliari. E dovrebbe, da un punto di vista etico, essere rigettata la tendenza attuale al volere colpevolizzare un intero genere per i crimini commessi da pochi, pochissimi, spostati o disagiati mentali.

Filippo Turetta va severamente condannato, ma i ragazzi, gli uomini in generale, vanno lasciati in pace. Non devono rispondere dei crimini altrui e non devono affatto essere rieducati da famigerati esperti di niente, dopo processi mediatici sommari all’insegna del pensiero unico politicamente corretto.



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