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  • Dalle trincee ai salotti e dai salotti alle trincee: la parabola degli intellettuali barricaderi (armiamoci e partite)

    Dai salotti alle trincee: la parabola degli intellettuali barricaderi accomodati nei salotti TV C’era una volta l’intellettuale engagé, quello che sventolava il libretto rosso di Mao, che citava Marx nei caffè del centro e che, quando si trattava di sporcarsi le mani, lanciava molotov in nome della rivoluzione proletaria. Era il tempo delle barricate, della lotta di classe, dell’utopia rossa che bruciava nelle università. Essere un intellettuale o un artista non significa necessariamente prendere posizione contro il potere costituito, ma implica un atteggiamento critico e indipendente nei confronti della realtà sociale, politica e culturale. La funzione dell’intellettuale e dell’artista è spesso vista come quella di analizzare, interpretare e, se necessario, denunciare le contraddizioni del proprio tempo. Oggi, invece, gli stessi intellettuali – o i loro epigoni più imbellettati – sfoggiano cravatte di seta e si affollano nei talk show per spiegarci la necessità della guerra. I reduci del Sessantotto, quelli che inneggiavano alla rivoluzione globale e abbracciavano il nemico proletario di allora, oggi si ritrovano sul carro dell’atlantismo militante. Se un tempo cantavano “Immagine” di John Lennon col pugno chiuso (lo stesso pugno che in Occidente faceva rabbrividire perché simbolo del comunismo sovietico), ora si schierano compatti a favore del riarmo e dell’invio di armi all’Ucraina. La coerenza? Un lusso per chi non ha ancora imparato l’arte della trasformazione. Questa mutazione genetica dell’intellettuale da salotto non è nuova, ma raggiunge oggi l'apice. Già negli anni ‘80 molti ex barricaderi avevano ripiegato su comode cattedre universitarie, editoriali ben pagati e consulenze governative. Hanno scoperto che le rivoluzioni sono faticose, che i sogni di uguaglianza sociale mal si conciliano con le nuove buste paghe, e hanno scelto la strada più comoda: quella del conformismo ben retribuito. Oggi, il vecchio antimperialismo è stato sostituito da una narrazione che giustifica ogni azione dell’Occidente, purché ben confezionata sotto l’etichetta della “democrazia”. La guerra non è più guerra ma è “missione di pace”. L’articolo 11 della Costituzione molto ecomplesso e da interpretare alla bisogna: l’Italia ripudia la guerra senza che ci sia una “pace giusta”, dicono. Il più grande tradimento degli ex rivoluzionari non è stato nei confronti delle ideologie che hanno abbandonato, ma della loro stessa intelligenza. Ieri parlavano di autodeterminazione dei popoli, oggi sostengono le guerre umanitarie con lo stesso fervore con cui un tempo inneggiavano alla lotta armata dei vietcong. Ieri sputavano sui governi borghesi, oggi ne sono i più fedeli portavoce. L'unico elemento che è rimasto invariato è la loro sicumera: qualunque sia la causa, saranno sempre dalla parte giusta, purché coincida con quella del potere dominante. E così, mentre le bombe cadono e i popoli soffrono, questi nuovi intellettuali da salotto pontificano su cosa sia giusto e sbagliato. Sono gli stessi che un tempo lanciavano molotov contro il sistema, e che oggi lo difendono con i denti, brandendo penne ben lubrificate dagli editoriali di regime. Cambiano le bandiere, ma loro restano sempre lì: ben saldi al centro della scena, garantendosi un posto a tavola nei banchetti del potere. Un tempo gli intellettuali hanno storicamente assunto un ruolo di opposizione al potere, come nel caso di figure come Voltaire, Gramsci, Sartre o lo scomodissimo Pasolini. Hanno sfidato le istituzioni e i sistemi di potere del loro tempo. Oggi invece possiamo vantarci di avere i Galimberti e gli Scurati che propagandano lo spirito bellico europeo e la necessità dell’esercizio della forza. O ancora il grande Damiano del Maneskin che bercia dal palco “Fuck Putin!” che più o meno parafrasando è quanto dicono Draghi e la von der Leyen. Lo dicesse in Russia "Fuck Putin" mi toglierei il cappello... Ciò che distingue un vero intellettuale non è tanto l'opposizione pregiudiziale, ma l'autonomia di pensiero e la ricerca della verità, anche quando questa può risultare scomoda per le élite dominanti o per l'opinione pubblica. Un intellettuale dovrebbe essere una coscienza critica della società, non una scimmietta ammaestrata con un megafono del potere con cui propaganda la merda per cioccolato.

  • Scimmiette ammaestrate della sinistra 2.0

    Una delle tante scimmiette ammaestrate della sinistra 2.0 che infestano il web mi ha chiesto provocatoriamente quale fosse la mia idea di pace vista la situazione in Ucraina. Gli ho risposto: . Ovviamente le scimmiette ammaestrate, come i cattolici che non hanno mai letto la Bibbia, queste non hanno mai letto la Costituzione e quindi se la fanno raccontare dai salotti tv dai vari guru tipo Serra o Galimberti. Ovviamente se ne esce fuori col concetto di "pace giusta" che la Mattarella sta propagandando insistentemente tra un attacco verbale alla Russia e l'altro. . Poi inizia con la minchiata del "Peacekeeping" fatto dagli europei. Replico: . Niente, non c'è verso, non ci si riesce proprio a ragionare. Non sanno le cose. Quando le leggono non le capiscono seppure siano scritte in modo semplicissimo ed inequivocabile. Hanno il cervello obnubilato dalla propaganda. Il cavallo bianco di Napoleone è... nero, e 2+2=5. Torneranno a credere che Putin sia un grande statista quando la TV ricomincerà a dire, che è un grande statista come avveniva 15 anni fa.

  • Giorgia non vince Sanremo ed è subito patriarcato!

    La musica italiana ha un problema: il patriarcato! O forse no. O forse sì, ma solo quando ci fa comodo. Prendiamo il caso di Giorgia, che torna in gara a Sanremo 2025 con la sua  tecnica e la voce angelica e potente, ma -sorpresa!- non vince. Com'era prevedibile, le femministe insorgono: "Ma come? Un'altra donna esclusa dal podio? Ma allora è un complotto!". Orde di critici musicali improvvisati nei salotti tv berciano: “Sanremo Patriarcale!" e “Ridateci Giorgia!". Ma fermiamoci un attimo a riflettere: è davvero il maschilismo sistemico il problema o semplicemente Giorgia non ha raccolto abbastanza voti? Perché, vedete, esiste questa cosa chiamata "democrazia " (che poi sia spesso pilotata dalle radio che volevano però Giorgia è un altro discorso), e funziona così: si vota chi piace di più. E l'anno scorso, guarda caso, ha vinto una donna: Angelina Mango. Annalisa terza e alla Bertè premio della critica. Ma questo, a quanto pare, non conta. Nessuno sembra ricordarselo. Non ricordano neppure che il festival si è aperto col premio alla carriera a Iva Zanicchi.  Eppure, c'è chi ritiene che il festival andrebbe riformato per garantire una rappresentanza femminile degna, magari con le famigerate quote rosa nelle classifiche finali. La meritocrazia? Roba vecchia! E allora perché non assegnare una vittoria automatica ogni due edizioni a una donna, giusto per pareggiare i conti? Così, per sicurezza. E qui arriva il dilemma: se per supportare la presenza femminile nel panorama musicale decidessi di votare Serena Brancale perché, diciamocelo, è oggettivamente bona oltre che semplicemente donna, starei facendo un gesto politicamente corretto o cadrei nel più becero sessismo? È un voto di consapevolezza o di testosterone? La stessa dinamica si è vista recentemente a X Factor, quando la cantautrice dichiaratamente lesbica Francamente (che per me avrebbe dovuto vincere) ha denunciato in diretta che in finale sarebbe andata una sola donna su cinque artisti. "Uno scandalo!", ha berciato pure la  giudice Paola Iezzi col suo pippone moralista auspicando che il Paese tutto si dia una “regolata”. Peccato che poi a vincere sia stata proprio l'unica donna in finale, Mimì, che oltretutto è nera. E qui nasce un'altra riflessione: se il voto deve rispondere a una logica di rappresentanza politicamente corretta, a questo punto, meglio votare una donna nera piuttosto che una donna bianca lesbica? Perché, tra nero e gay, il nero balza più all'occhio e garantisce un punto in più sulla scala della correttezza politica. Temo che Francamente col suo appello politicamente corretto un attimo prima del voto si sia tirata la zappa sui piedi. Il bello è che il dibattito su queste tematiche finisce sempre per aggrovigliarsi su se stesso. Perché, alla fine, il problema non è mai se un’artista è brava, carismatica o se ha portato la canzone della vita: il problema è che, se non vince, qualcuno grida al patriarcato. E se vince? Beh, allora ha vinto perché dovevano per forza far vincere una donna. Insomma, non se ne esce. Nel dubbio, l'anno prossimo proporrei di abolire del tutto la gara, rigide quote rosa e, infine, sorteggiare il vincitore con un generatore casuale di nomi. Così evitiamo qualsiasi sospetto di ingiustizia di genere e, nel caso di vittoria femminile, evitiamo di doverci interrogare se sia stata meritata o "dovuta". Fino ad allora, continuiamo a indignarci nei salotti TV e, nel frattempo, ascoltiamoci un po' di musica. Magari anche di Giorgia, che merita a prescindere dai premi , soprattutto per avere nel suo repertorio quel capolavoro della musica Italiana che è Gocce di Memoria.

  • Tra Trump e Zelensky è il leder ucraino ad aver maltrattato il primo, non il contrario.

    All'unisono i media mainstream ci riportano ideologicamente, ancora una volta, una realtà palesemente falsificata. L'incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky ci viene spacciato con la narrazione del povero Zelensky umiliato in diretta TV dal dal bullo Trump e dal suo gorilla Vance. Sembra quasi che Zelensky fosse stato invitato alla Casa Bianca per contrattare e che ,una volta verificato che il coraggioso leader ucraino stoicamente resisteva, i due hanno iniziato ad insultarlo ed umiliarlo in diretta TV. Chiunque faccia uno sforzo di razionalità e rimetta il bombardamento mediatico nella sua naturale collocazione della propaganda può intuire che, naturalmente, l’accordo era da firmare a favore di camere, come sempre accade nelle grandi occasioni, ma che la definizione dell’accordo stesso è, come sempre, avvenuta prima, in separata sede ad opera delle rispettive diplomazie. Da settimane Trump andava ribadendo che Zelenky era atteso alla Casa Bianca per firmare l'accordo (non certo per definirlo) https://www.rainews.it/maratona/2025/02/intesa-risorse-ucraine-venerd-zelensky-casa-bianca-trump-96084736-a4e3-4dd4-a63e-2442530dc7da.html Zelensky, quindi, si è presentato lí con l’impegno di firmare, ma ha tradito Trump facendogli uno sgarbo e una provocazione a casa sua come gli ha rimarcato Vance e lo ha fatto difronte alle tv. Non entro nel merito se Zelensky abbia fatto bene o meno, se fa parte di una sua strategia per il rilancio nella contrattazione o meno ma, oggettivamente, quello che ha mancato di rispetto in diretta TV a qualcuno è proprio il leader ucraino. Questo è esattamente quello che è avvenuto al netto della propaganda mediatica che ci sta bombardando e che continua a voler sostenere le ragioni della guerra in Ucraina. Probabilmente questa messa in scena serve ai leder europei per giustificare una ulteriore escalation nella guerra di fronte alle rispettive opinioni pubbliche che vengono ancora letteralmente gabbate.

  • Femminicidi: ottime notizie

    Ottime notizie dal fronte dell’emergenza nazionale femminicidi. Quest’anno le vittime di femminicidi sono diminuite di quasi il 21% passando da 43 a 34 (fonte  https://femminicidioitalia.info ) . Gli omicidi di donne sono invece diminuiti da 117 a 109 segnando un calo del 7,3% che segue quello del 7,1% relativo al 2022/23. Si tratta di ottime notizie che però non troveranno spazio alcuno sui media mainstream in quanto disturbano la narrazione emergenziale a base di fakenews istituzionali a cui ormai da anni siamo abituati. E come sottolineiamo da anni, in Italia, al netto del sensazionalismo giornalistico, non è mai  realmente esistita alcuna  “emergenza nazionale femminicidi” poiché nella penisola il trend dei femminicidi segue quello degli omicidi di donne e degli omicidi in generale di cui sono sottocategoria ed è in costante calo dal dopoguerra ad oggi. L’Italia è, peraltro, uno dei paesi al mondo dove in assoluto si registrano meno omicidi dati alla mano e al netto delle varie propagande amplificate da media collusi.  Per onestà andrebbe anche spiegato che stiamo parlando di numeri assoluti talmente esigui che si registrano variazioni impressionanti con meno di dieci casi all’anno, ma per spiegare il paradosso usiamo lo stesso metodo che va per la maggiore e che comunque produce risultati in contrasto alla narrazione dominante: anche quest’anno diminuiscono i femminicidi e diminuistcono drasticamente di quasi il 21%! Per saperne di più:   https://www.ildetonatore.it/2020/10/14/lindagine-femminicidio-e-infanticidio-i-dati-reali-contro-la-propaganda-di-andreas-perugini/

  • Femminicidi o suicidi?

    Dal 2018 ad oggi, i cosiddetti “femminicidi”, in Italia, sono calati del 39,4% passando da 71 a 43. Sono poche decine l’anno, in accentuata e costante diminuzione dal dopoguerra ad oggi, come lo sono gli omicidi in generale, collocando l’Italia stabilmente agli ultimissimi posti relativamente alla violenza in generale e alla violenza di genere in particolare. Se nel complesso gli omicidi in Italia sono poco superiori alle 300 unità, i suicidi invece sono più di dieci volte tanto, ovvero intorno ai 4000. Nonostante questo, nessuno parla di “emergenza nazionale suicidi” e l’Italia rimane anche qui uno dei paesi più virtuosi, vantando un tasso pari alla metà della media europea. I dati Istat a nostra disposizione si fermano al 2020 e gli omicidi di donne in quell’anno sono 116 di cui 63 considerati “femminicidi”. Secondo lo studio di Eurispes, condotto sulle fonti dello stesso Istituto, gli uomini separati o divorziati suicidatisi nello stesso anno sono 138, ovvero più di tutte le donne assassinate nello stesso annoe oltre il doppio dei “femminicidi”. Negli anni precedenti, i dati sono del tutto simili. Tra i soggetti in questione si registra una crescente vulnerabilità e il rischio aumenta di ben 15 volte rispetto alla media. In Alto Adige, la regione coi dati più negativi, il tasso generale è il triplo rispetto alla Campania, che vanta i dati più positivi, ed il doppio rispetto alla media nazionale. Dunque, da una parte abbiamo un allarmismo sproporzionatorelativo alla cosiddetta “emergenza nazionale femminicidi”, non supportata dai dati reali ma quasi esclusivamente dalla propaganda, mentre dall’altra abbiamo numeri ben più allarmanti relativi ad un fenomeno per lo più taciuto. A parte il fatto che gli uomini uccidono maggiormente, come si suicidano di più, perché quelli separati o divorziati lo fanno 15 volte tanto? Con ogni evidenza, questo dipende dal fatto che la condizione economica causata dalla separazione porta ad una precarietà economica estrema. Un uomo divorziato si trova, in oltre il 90% dei casi, a dover mantenere i figli, perdendo la casa e dovendo sostentare una famiglia a distanza fino al raggiungimento dell’indipendenza economica della prole stesse (in Italia stimabile anche attorno ai 30 anni) e senza la possibilità di accedere a mutui per poter iniziare una nuova vita. E per la legge questo accade anche quando il divorzio è causato esclusivamente dalla volontà o dal comportamento della moglie. Sempre per la legge, se ad una donna è concesso non riconoscere il figlio appena partorito rinunciando alla maternità (è stata varata per limitare gli infanticidi commessi principalmente da donne), l’uomo sarà invece chiamato a rispondere della paternità anche a distanza di decenni attraverso l’esame del dna. Secondo la Caritas, dei 4 milioni di padri separati, 800.000 vivono sulla soglia di povertà e quasi il 50% degli assistiti dall’organizzazione umanitaria è rappresentato da questa categoria. E, per fortuna, che la nostra è una Nazione patriarcale! Andreas Perugini Raffaella Casari articolo pubblicato su Il Detonatore e censurato dal quotidiano Alto Adige (risposta in privato del direttore: "Non è una gara"

  • Cosa sono esattamente i radical-chic

    I radical chic in Alto Adige amano utilizzare il termine cacofonico “Sudtirolo" anziché "Alto Adige" perché "Alto Adige" (termine coniato dai Francesi nel periodo napoleonico) a loro dire sarebbe fascista. I più raffinati usano il termine "Alto Adige/Südtirol” sostenendo che quella sia la denominazione ufficiale della provincia. Peccato solo che in tedesco nessuno dica "Alto Adige/Südtirol" e neppure "Südtirol/Alto Adige", ma semplicemente “Südtirol". In Italiano, parimenti, è corretto dire "Alto Adige" e lo Statuto di Autonomia ne definisce la parità. La barra obliqua (lo slash) internazionalmente si utilizza come separazione fra diverse alternative. I due termini si possono utilizzare ufficialmente in alternativa e non devono essere utilizzati contemporaneamente come credono i radical chic bramosi di prostrarsi culturalmente alla minoranza tedesca che poi qui in Alto Adige è maggioranza al governo dal dopoguerra ad oggi. E sempre in Alto Adige a proposito del leggere senza capire una mazza, un noto opinionista radical chic come da copione ossessionato dal fascismo, è assurto alla ribalta delle cronache nazionali per aver "insultato la Meloni da insegnante" (cosa per altro non vera). In un'intervista ad un giornalista si professava ammiratore di Ennio Flaiano che veniva da lui definito suo "maestro". Ecco, Flaiano appunto, quello de "In Italia ci sono due tipi di fascismo: il fascismo e l’antifascismo”. I radical chic rappresentano, per così dire, la quinta colonna della borghesia progressista all’interno di una Sinistra da loro monopolizzata. Ma chi sono? Il termine è stato coniato negli USA, nel 1970, per etichettare certi rappresentanti della borghesia bianca di Sinistra che simpatizzavano per le Pantere Nere. Naturalmente, in Italia, se oggi viene utilizzata questa etichetta, lo si fa fuori da quel contesto originario. La Treccani cita questo termine perché “riflette il sinistrismo di maniera di certi ambienti culturali d’élite, che si atteggiano a sostenitori e promotori di riforme o cambiamenti politici e sociali più appariscenti e velleitari che sostanziali”. Non c’è più un riferimento particolare alla reale disponibilità economica, ma va detto che certamente nessuno di questi è un operaio e, se non vive in quartieri borghesi, agogna di farlo aborrendo decisamente la prospettiva di stare in mezzo al popolo. Precisamente, egli lo disprezza e, infatti, i suoi rappresentanti sono riusciti ad usare il termine “populista”, nato per descrivere la Sinistra russa pre-sovietica, come sinonimo di “demagogo” e come offesa rivolta ai politici di Destra. Preferiscono decisamente dimenticare che un grande presidente italiano populista fu Sandro Pertini. Hanno letteralmente stravolto il significato originario del termine, sottolineando così la loro inclinazione al voler recidere le radici che li collegavano alle masse. Non hanno però cancellato il resto dei loro legami, per esempio quelli con lo stalinismo. Infatti, mantengono viva la vocazione per manettee rieducazione. Come dimostrato recentemente da Bonelli (alleanza Verdi-Sinistra), che ha presentato un disegno di legge per l’introduzione del reato di “negazionismo climatico”, sono così visceralmente intolleranti da invocare la sanzione per reprimere chiunque non condivida le loro deliranti opinioni e ossessioni. Recentemente quelli, per così dire, più ambiziosi, sono arrivati ad accarezzare l’idea del superamento del suffragio universale e dell’introduzione della scheda elettorale a punti. Poiché il popolo ignorante vota a Destra, bisogna superare la balzana idea illuminista che le urne siano diritto universale. Per contrastare il fascismo dilagante (una loro tipica ossessione, appunto), sognano la restaurazione dell’ancien régime. Alcuni si spingono a teorizzare l’idea che tale diritto vada vincolato al titolo di studio o, almeno, ad un esame di cultura generale. Altri, addirittura, immaginano che la possibilità di procreare figli debba avere un vincolo simile. Sei troppo ignorante? Non hai un conto corrente adeguato? Vai sterilizzato!  E qui, evidentemente, si va oltre non solo al fascismo, ma pure all’ancien régime. Secondo tali statalisti, il moloch amministrativo ha il pieno diritto di metterti non solo le mani in tasca, ma anche addosso. Lo abbiamo visto con la gestione dell’emergenza pandemica: per il bene collettivo, lo Stato ti può togliere i tuoi diritti fondamentali e vaccinarti in modo coercitivo. I radical-chic allora berciavano: “Mi divertirei a vederli morire come mosche” (Andrea Scanzi); “I cani possono sempre entrare. Solo voi, come è giusto, resterete fuori” (Sebastiano Messina); “Vagoni separati per non vaccinati” (Mauro Felicori); “Verranno messi agli arresti domiciliari, chiusi in casa come dei sorci” (Roberto Burioni);  “Vorrei un virus che ti mangia gli organi in dieci minuti riducendoti a una poltiglia verdastra che sta in un bicchiere per vedere quanti inflessibili no-vax restano al mondo” (Selvaggia Lucarelli); “Lo Stato dovrà decidere di prendere un po’ di persone per il collo e farle vaccinare” (Lucia Annunziata)… ecc., ecc – troppo lungo l’elenco delle citazioni. In Italia, il più grande quotidiano radical chic (tecnicamente della Sinistra Progressista) è “La Repubblica”. Questo vanta come direttore Maurizio Molinari, uno che, in modo sempre pacatissimo, esprime però concetti assolutamente aberranti come quelli contro i no-vax, che vanno incarcerati come terroristi e le armi italiane in Ucraina che salvano vite. D’altra parte ha sostituito il fondatore Eugenio Scalfari che, da vero ex fascista iscritto al PNF e uomo di vocazione monarchica, si è reinventato guru dei radical chicfondando un quotidiano che si rifà alla repubblica fin dal nome. Si può certo cambiare idea, ma lui non ha mai mutato la sostanza reazionaria, come si evince da questa intervista concessa negli ultimi suoi anni di vita: “I poveri hanno solo bisogni primari” (https://www.youtube.com/watch?v=D_ADpBw5DmU), specie di inno allo snobismo. I radical chic sono letteralmente ossessionati dal fascismo, ma non lo sanno riconoscere neppure per sbaglio. Per combattere quello del Ventennio, sono pronti a realizzare la democrazia 2.0 che poi è la stessa cosa del fascismo 2.0: un benestante regime capitalista privo di libertà, diritti e democrazia, in cui l’individuo va sacrificato al bene comune della collettività (concetto alla base di qualsiasi autoritarismo). Il modello è quello della moderna Cina. Mentre appoggiano la guerra in Ucraina e tacciono sul genocidio palestinese, sbraitano di saluti romani e di mettere fuori legge i partiti e gruppi fascisti: “Il fascismo non è un’opinione, è un reato” (siamo sempre lì!) e citano la Costituzione come fanno i cattolici con la Bibbia, senza averla mai letta. Si fidano di quello che gli raccontano dai pulpiti della politica i loro sacerdoti laici. Peccato che la Costituzione non riporti in nessun passaggio quello che loro ottusamente sostengono. Le famose disposizioni transitorie e finali, che servivano per il passaggio dalla costituzione monarchica a quella repubblicana, dicono solo che è vietata la ricostituzione del PNF e, per 5 anni, la candidatura dei “capi”. Perso il supporto della Costituzione, iniziano quindi ad invocare la Legge Scelba: Scelba, uno che di comunisti veri ne ha fatti ammazzare a centinaia. I radical chic sono convinti di essere antropologicamente superiori agli altri, culturalmente e moralmente. In realtà, leggono poco, studiano poco e, soprattutto, anche se lo fanno, capiscono meno di niente. Sono convinti di sapere e non sanno. Sono persuasi che il popolo bue sia disinformato e nutrito dalle fake news lette sui social network, mentre si rivolgono ai media mainstream, leader nella divulgazione di falsità (una per tutti: le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein). Per questo motivo credono fermamente nella super fake dell’emergenza nazionale femminicidi e dell’esigenza di una rieducazione del maschio italico. (https://www.ildetonatore.it/2020/10/14/lindagine-femminicidio-e-infanticidio-i-dati-reali-contro-la-propaganda-di-andreas-perugini/). I radical chic sono devoti, non nella vecchia religione, ma di quella nuova: la Scienza. “Credono nella scienza” ignorando che il metodo scientifico non presuppone alcun atto di fede e che il credere è proprio dei culti, mentre sul dubbio si basa la ricerca. Hanno semplicemente sostituito un totem con un altro e obbediscono a un nuovo clero di scienziati interpreti della parola di questo essere senziente ed onnipotente. Lo zerbinismo culturale è lo sport più praticato da codeste figure. Per questo sono campioni assoluti di cancel culture. I termini vanno continuamente manipolati o direttamente cancellati, per aggiornarli alle nuove esigenze e assecondare anche le istanze più assurde delle minoranze. Ma più che un genuino sentimento di rispetto (cosa evidente proprio nella gestione pandemica), questo atteggiamento nasce dal disprezzo del popolo e della sua cultura. Essi non amano particolarmente gli stranieri ma, semplicemente, disprezzano gli Italiani. Vorrebbero riplasmarli, possibilmente sostituirli. Sono quindi a favore di un’immigrazione incontrollata. Sostengono un modello di sviluppo in cui l’Italia esporta centinaia di migliaia di giovani laureati, per importare africani sotto-scolarizzati che vanno a fare da schiavi nei campi di pomodori. La scusa è che, come affermato sistematicamente dai vari leader della sinistra, “Gli immigrati servono all’economia e ci pagano le pensioni”. Con buona pace di tutti gli ideali progressisti e di sinistra. In un sol colpo hanno, così, masse prive di coscienza da sfruttare e le mettono in concorrenza sleale con le fasce più deboli della popolazione italiana – questo particolare fenomeno di auto-razzismo si definisce oicofobia. Per concludere, i radical chic in Italia hanno il quasi monopolio dell’intellighenzia ed occupano praticamente tutti i gangli delle istituzioni soprattutto culturali e del potere. Avendo ripudiato le proprie radici socialiste, per abbracciare le istanze del globalismo più sfrenato (ma non lo ammetteranno mai, professandosi piuttosto “progressisti”, come da scuola Scalfari), rappresentano oggi un baluardo di questa supremazia ideologica. Sono, naturalmente, anti sovranisti (“sovranista” is the new “fascista”), quando invece il PCI era sovranista ed anti atlantista (ricordate il vecchio motto cubano, sotto l’effige di Che Guevara, “Patria o muerte!”?). Se un tempo c’erano i no-global, ora loro sono il nuovo fronte pro-globalizzazione. Teorizzano la fine dei confini sostenendo un concetto astratto che non esiste nella storia, nella geografia e neppure in natura, sapendo perfettamente che così lasciano libere di scorrazzare le multinazionali e che i confini proteggono i più poveri che, comunque, loro disprezzano. Se un tempo l’intellettuale di Sinistra mostrava il pugno chiuso o sventolava anche provocatoriamente la bandiera del nemico, oggi, nei salotti TV in cui si sono accomodati i rappresentanti dell’intellighenzia, si appuntano al petto la spilletta dell’Ucraina e gli artisti dal palco proclamano “Fuck Putin!”, dicendo solo un po’ più scurrilmente quanto sostiene già la von der Leyen a Bruxelles – ciò significa non avere alcun modello antagonista, sia pur imperfetto, da contrapporre al nostro che è vocato all’atlantismo, oltre al progressivo smantellamento dello stato sociale e della cultura europea. I radical chic che egemonizzano la sinistra sono i principali responsabili della totale deriva di questa area politica che, in tutte le sue contraddizioni, comunque ha garantito lo sviluppo della nostra società o, meglio, della nostra civiltà. pubblicato su Il Detonatore

  • I femminicidi sono in costante calo

    MALGRADO IL CASO DI GIULIA, I FEMMINCIDI SONO IN CALO Puntualmente, ci risiamo. Il caso del momento è l’omicidio di Giulia Cecchettin da parte di Filippo Turetta. I media hanno subodorato il sangue della vittima una settimana prima e hanno professionalmente preparato il terreno per la loro morbosa speculazione, accerchiando la casa della famiglia o la scuola di provenienza.  Così una tragedia famigliare è divenuta nazionale e un caso criminale la dimostrazione di un fenomeno globale. Ma non è così! Va detto preliminarmente che il neologismo “femminicidio” è stato anch’esso storpiato dai media, rispetto a quando fu coniato, arrivando, in sostanza, a includere tutti gli omicidi di donne compiuti da uomini, quando inizialmente indicava solo quelli che rappresentano l’ultimo atto di violenza di un uomo perpetrato in un contesto culturale patriarcale. Difficile pensare che svuotare le parole di senso possa portare beneficio alla causa. Ma tant’è. Come si diceva, il caso singolo viene strumentalizzato per distorcere la realtà dei fatti e del quadro nazionale del fenomeno. Siamo ben lungi dal rappresentare un’emergenza nazionale o una deriva culturale o ancora peggio l’esigenza di dover rieducare un intero genere, quello maschile, colpevolizzandolo in toto, esercitando quindi qui sì una violenza sociale, culturale e psicologica, intollerabile. Se andiamo ad analizzare i numeri scopriamo, infatti, che il quadro della situazione, al di là delle speculazioni dei media e delle istituzioni al traino, all’insegna del motto “pianga, pianga qui nel microfono!”, dipingono una situazione tutt’altro che allarmante. I cosiddetti “femminicidi” in Italia sono ai minimi storici e questo Paese è uno di quelli, al mondo, in cui se ne verificano di meno in assoluto. Ecco la verità vera, al di là delle fake news mainstream politicamente corrette e di quelle istituzionali. Anche quest’anno il già esiguo numero assoluto registra una contrazione.  A oggi, nel 2023, contiamo 39 vittime. Nel 2022, ne abbiamo registrate 57. Nel 2018, furono 71. In 5 anni (lasso di tempo sensato per trattare numeri assoluti così esigui), registriamo un calo significativo di oltre il 20%. Ma i  “femminicidi” sono un sottoinsieme degli omicidi di donne e degli omicidi in generale che seguono andamenti simili. 101 sono tutte le donne uccise nel 2023. 124 quelle uccise nel 2022. Nel 2018, furono 130. La curva statistica del fenomeno criminale è costantemente in discesa da decenni e gli attuali numeri assoluti sono così ridotti che un singolo episodio statisticamente può incidere notevolmente. Si pensi che basterebbe una strage scolastica “all’americana” per stravolgere il dato, con uno straordinario +10%. Ma si potrebbe dire di più: è normale vi sia, in ogni società sana, una certa percentuale endemica di criminalità. La totale assenza, piuttosto, desterebbe allarme. Solo entro strutture sociali fortemente autoritarie o distopiche si potrebbe spiegare un tale fenomeno. Recentemente si sono registrati un paio di infanticidi (uno ogni due settimane). Si tratta di una tipologia di omicidio particolarmente efferata, che vede spesso le donne come protagoniste, ovvero assassine, ma nessuno si è mai sognato di dire che queste, nel loro complesso, andrebbero rieducate alla maternità o che dovrebbero fare mea culpa in quanto donne. Vi rendete conto di cosa succederebbe se solo qualcuno provasse a fare questa considerazione? Anzi, spesso a prevalere è una certa tendenza assolutoria: la donna carnefice muta istantaneamente in vittima incompresa e non supportata sufficientemente dalla famiglia o dalla società. Con l’uomo assassino, invece, il disagio mentale o l’emarginazione sociale lasciano spazio al regime del patriarcato: egli uccide sempre perché agisce machisticamente in suo nome. La donna, al contrario, ammazza i figli perché vittima di esso. Bisogna essere consapevoli di queste storture mediatiche che alimentano anche le istituzioni e mantenere una certa lucidità analitica. Sarebbe il caso di ripudiare la morbosità mediatica che mette in pasto alla Nazione quelle che dovrebbero rimanere quanto più possibile tragedie famigliari. E dovrebbe, da un punto di vista etico, essere rigettata la tendenza attuale al volere colpevolizzare un intero genere per i crimini commessi da pochi, pochissimi, spostati o disagiati mentali. Filippo Turetta va severamente condannato, ma i ragazzi, gli uomini in generale, vanno lasciati in pace. Non devono rispondere dei crimini altrui e non devono affatto essere rieducati da famigerati esperti di niente, dopo processi mediatici sommari all’insegna del pensiero unico politicamente corretto. articolo pubblicato da: www.ildetonatore.it fonte dati: https://femminicidioitalia.info approfondimento: https://www.ildetonatore.it/2020/10/14/lindagine-femminicidio-e-infanticidio-i-dati-reali-contro-la-propaganda-di-andreas-perugini/ articolo originale: https://www.ildetonatore.it/2023/11/22/malgrado-il-caso-di-giulia-i-femmincidi-sono-in-calo-di-andreas-perugini/?fbclid=IwAR0_Mjzc77douWBUSYmTCpM368k7jUcSJBAJ3fl3jCLyvy1Ek1HjMaENI9M

  • Il terrorismo e le leggi della storia

    Il terrorismo e le leggi della storia 17 agosto 2014 alle ore 17.50 In Ungheria Attila, per noi il flagello di Dio, è eroe nazionale e Vlad l’Impalatore (il Conte Dracula), difensore della cristianità, è venerato come eroe popolare in Romania. “Quando Giuseppe Mazzini nella sua solitudine, nel suo esilio, si macerava nell’ideale dell’Italia unita ed era nella disperazione di come affrontare il Potere, lui, un uomo così nobile, così religioso, così idealista, concepiva e disegnava e progettava gli assassinii politici. Questa la verità della storia. E contestare a un movimento che voglia liberare il proprio Paese da un’occupazione straniera [l’OLP- ndr] l’uso delle armi significa andare contro le leggi della storia.” [Bettino Craxi - discorso in parlamento dopo l'invito di Arafat, leader dell'OLP accusato di terrorismo] E come avrebbero definito e considerato Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei due Mondi, e le sue Camicie Rosse, i reggenti del florido Regno delle Due Sicilie se fossero riusciti a respingere la sua spedizione dei Mille? Come ancora oggi consideriamo il fenomeno del brigantaggio meridionale e come la resistenza partigiana che durante la guerra veniva definita "banditismo"? In Alto Adige, dove vivo, l'eroe "nazionale" è Andreas Hofer, che si oppose alle truppe napoleoniche e fu fucilato a Mantova. Cesare Battisti, per gli Italiani eroe dell'irredentismo, fu impiccato dagli Austriaci come disertore e traditore. La storia non la scrivono i vinti ed è per questo che oggi consideriamo eroi i terroristi e terroristi gli eroi.

  • Non credo a niente, ma so alcune cose

    Sovranismo e populismo sono concetti nobili. Io sono sovranista e populista "L'emergenza nazionale femminicidi" è una fakenews I sedicenti "moderati" sono i più fanatici di tutti I governi e i media mainstream sono i più grandi divulgatori di fakenews L'emergenza pandemica si basa su dati sistematicamente manipolati Sono così antifascista, ma così antifascista, che sono anti-antifascista! Destra e Sinistra, Estremista e Moderato non significano più nulla

  • Mi candido nel gruppo Italexit della lista Enzian

    Vi spiego in poche parole perché mi sono candidato nelle liste di Enzian. Sono un populista ed un sovranista nel senso buono ed autentico di questi due nobili termini che nulla hanno a che fare con la distorsione di significato imposta dai radical-chic che aborro decisamente. Da un anno appoggio Italexit che ho votato alle politiche alla Camera. Al Senato ho invece votato Italia Sovrana e Popolare. Se avessi potuto esprimere un altro voto avrei votato anche Vita. Come tutti saprete, le elezioni sono andate male per tutte le forze antisistema, che anche a causa del trucco delle elezioni anticipate a settembre hanno imposto una campagna elettorare assurda ad agosto. Per farla breve, il fronte antisistema è arrivato frammentato al voto ed è stato spazzato via. Non solo non sono entrate nuove forze, ma pure quelle esigue già presenti in Parlamento sono state cancellate. È stata una debacle. Siccome, come diceva Rousseau, non vivo ancora nella foresta con gli orsi, ritengo che avere un minimo di opposizione nel sistema sia assolutamente necessario. Per quanto abbia gioito della vittoria di Fratelli D'Italia che ha mandato all'opposizione Pd e Cinquestelle (e superato l'aberrante parentesi Draghi) non penso che FdI possa garantire i nostri diritti per il futuro. È già tanto se ha interrotto la spirale della discriminazione di Stato messa in atto da Conte, Draghi e dal Pd, ma alla conversione totale marca ormai poco. Un'opposizione e una rappresentanza politica è dunque necessaria nelle istituzioni anche se questo comporta, come ovvio, parecchi compromessi, come quello di candidarsi in una lista dove non mi posso necessariamente rispecchiare. Mi candido nel gruppo di Italexit nella lista di Enzian perché Enzian è l'unica forza presente in Consiglio Provinciale che ha dimostrato sul campo di difendere i principi fondamentali a cui aderisco e i diritti delle persone discriminate istituzionalmente. È anche la forza politica che ha permesso a Vita di partecipare alle elezioni politiche in Alto Adige. NON ENTRERO' IN ALCUNA POLEMICA CON LE FORZE POLITICHE E I MILITANTI FREEVAX CHE HANNO FATTO SCELTE DIVERSE DALLA MIA. Andreas Perugini, nato in Svizzera nel 1972. Risiede a Bolzano da quando aveva 6 anni. Dopo il Liceo Scientifico si è diplomato alla scuola di documentario Zelig ed ha frequentato Sociologia, indirizzo Comunicazione e mass media. Appassionato di musica e di cinema con una particolare passione per il cinema muto. Dagli anni ’90 lavora come libero professionista. È documentarista ed autore di videoclip musicali e video industriali. È presidente del Cineforum Bolzano. In passato suonava in un gruppo di musica minimalista, i Croma, con cui ha pubblicato il disco Discromatopsia, e in un gruppo Hardcore. Per Harlock, ha dato alle stampe il saggio breve Oltre il Male, dallo stato di natura allo stato politico o di cultura. Dopo aver lavorato per anni sia come dipendente che con sue società nel settore televisivo e in quello delle produzioni audiovisive, attualmente si guadagna da vivere lavorando come rilevatore statistico per Istat/Astat e i principali operatori del settore. Politicamente i temi che lo coinvolgono maggiormente sono legati alla libertà di espressione e ai diritti come quelli negati durante l’emergenza pandemica e i diritti degli animali. Lo appassiona anche il contrasto alle fakenews che, come studiato all’università, sono diffuse in massima parte dai governi e dai media mainstream. Per l’Alto Adige ritiene si debba contrastare il caro casa, la microcriminalità dilagante e, soprattutto, il dissesto della Sanità. Lo slogan: meno stato etico, più stato sociale. NON CREDO A NIENTE, MA SO ALCUNE COSE Qui il comunicato stampa di Italexit Alto Adige

  • La fake sulle fakenews di Facebook

    In questi giorni sta girando questo grafico che promuove la solita campagna anti social-network portata avanti dai media mainstream. Premetto subito due cose: 1) Si tratta anche questa di una (mezza) fake 2) Le fake sui social network certmente esistono, ma i maggiori generatori di fake sono di gran lunga i governi e i media mainstream. Tutti i media di massa hanno diffuso nei giorni scorsi la velina militare della morte dell’ammiraglio russo. Lo hanno fatto , come sempre, senza verifica e pur sapendo che la propaganda è scontata in tempo di guerra. Il giorno dopo, dopo la smentita del Cremlino, hanno ammesso implicitamente di aver divulgato la potenziale fakenews senza verifica, ovvero i professionisti dell’informazione hanno ammesso di fare ciò che nel tempo libero fa la gran parte degli utenti di Facebook. Naturalmente tra i media di massa che hanno divulgato la velina c’era anche Open che funge da fact-checker e dice a Facebook cosa possono o non possono pubblicare gli utenti di FB. Questo accade fin dal primo giorno di guerra quando i media di massa all’unisono hanno divulgato le immagini dei carri armati russi che schiacciavano le auto a Kiev dove ormai tutti sanno i Russi non sono mai arrivati. Chi ha studiato sa che le fakenews sono DA SEMPRE divulgate in massima parte dai governi e dai mass media. Chi ha studiato sa anche che da sempre in stragrande maggioranza (pochissime eccezioni come Il Fatto o la Verità) i giornali italiani sono controllati in perenne perdita da gruppi imprenditoriali che evidentemente non li controllano per fare business con l’informazione, come sarebbe legittimo, ma li controllano per controllare l’opinione pubblica, il che è molto meno legittimo. La notizia che ha ispirato la tabella è questa: (agi.it) 1) Rapporto è, dunque, della Commissione Europea (organismo politico molto discutibile) e di scarso controllo democratico e scarsa trasparenza (vedasi contratti censurati stipulati con le farmaceutiche). 2) Fake sulla disinformazione sulla salute? Ricordiamoci che l'ISS, da quanto emerge dalle carte del processo di Bergamo ha manipolato sistematicamente i dati omettendo sistematicamente anche quelli sui danni avversi del vaccino 3) Facebook personalmente mi ha censurato anche un articolo del Fatto Quotidiano etichettandolo come fake quando elencava solo gli slogan di piazza. Insomma, si tratta di un grafico disegnato partendo da rapporto elaborato da un organismo POLITICO di GOVERNO come la Commissione Europea (che, come si diceva, evidenzia oggettivi elementi di scarsa democraticità, controllo e trasparenza), elaborato con il preciso scopo di giustificare l'azione di CENSURA che intende adottare l'Europa nei prossimi anni con l'entrata in vigore il Digital Services Act. Le testate giornalistiche mainstream hanno poi estrapolato arbitrariamente i numeri assoluti citati autoreferenzialmente dalla Commissione stessa per portare avanti la loro personale campagna contro i social network (con l'ennesima evidente mancanza di correttezza dei dati assoluti messi sullo stesso piano e senza spiegare come vengono dedotti). Questo la dice lunga proprio su come nascano le fakenews prodotte, appunto, dai governi e divulgate principalmente dai media mainstream. Naturalmente poi queste fakenews le leggiamo anche sui social sulle bacheche di chi è convinto che La Repubblica dispensi informazione.

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