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Femminicidio: i dati reali smontano propaganda e fakenews istituzionali


Da qualche anno media, opinion leader ed esponenti della cosiddetta intellighenzia non fanno che lanciare appelli e denunce riguardo una presunta recrudescenza del cosiddetto femminicidio e della violenza di genere. La tesi di fondo è quella di una violenza coltivata in un humus culturale pregno di cultura patriarcale e maschilista. Il fenomeno viene letteralmente presentato ai massimi livelli anche istituzionali come “Emergenza nazionale Femminicidio”, come recitava il sottopancia di un’intervista Sky con il ministro alla Giustizia Bonafede e un’altra intervista ancora in cui si parlava addirittura di una “stragein atto.

Lungi da me sostenere che la nostra cultura sia scevra da qualsiasi forma di maschilismo e violenza. Mi permetto però di sottolineare un paio di fatti:

– La violenza in generale e la violenza di genere non aumentano, ma diminuiscono;

– Gli uomini uccidono le donne come le donne uccidono i bambini.

Sono sicuro che queste due affermazioni faranno sobbalzare la maggior parte delle persone e ciò la dice lunga sull’informazione distorta che quotidianamente incide sulla nostra percezione della realtà.

Ma andiamo con ordine.

In Italia, come in Europa, dal dopoguerra ad oggi, la violenza criminale è costantemente diminuita. La società italiana degli anni ’50 era generalmente molto più insicura e dura di quella di oggi. Era, naturalmente, anche assai più maschilista.

Non solo furti e rapine, ma pure le violenze domestiche contro donne e bambini sono drasticamente ridotte. Quello che aumenta sono invece le denunce e la presa di coscienza sociale di questo tipo di violenza che non viene più omertosamente tollerata. L’aumento delle denunce e la maggiore presenza mediatica restituiscono però al cittadino la percezione sbagliata di un incremento del crimine.

I reati più efferati come gli omicidi, che per gravità non hanno mai subito derubricazioni e difficilmente possono non risultare nella casistica criminale, ci mostrano inequivocabilmente che la violenza della nostra società si è ridotta. Ad esempio, se nel 1992 c’erano stati in Italia 1.275 omicidi, nel 2010 si registrano appena 466.

A questo fatto va aggiunta un’altra considerazione.

Troppo spesso le fonti di questi articoli e di questi reportage non sono attendibili come l’Istat o il Ministero dell’Interno. I dati provengono quasi esclusivamente dall’Osservatorio dell’associazione Telefono Rosa e altre associazioni in difesa della donna che annualmente producono report basati sull’analisi dell’incidenza di certi reati sui media. Il metodo, ovviamente, non è affatto scientifico e produce risultati non già in base alla reale frequenza dei reati, ma in relazione all’esposizione mediatica degli stessi. È chiaro che più i media parlano di un fenomeno, più noi abbiamo la percezione che questo conosca una incremento reale, quando invece significa solo che tale fenomeno viene maggiormente trattato. Si entra quindi in un circolo vizioso per cui più la società viene sensibilizzata contro la violenza sulle donne, più sembrerebbe che la violenza stessa aumenti quando invece è vero il contrario. Altro metodo usato è il numero dei contatti diretti agli sportelli di aiuto. E anche qui, naturalmente, non significa che la violenza sia in aumento, ma che molte più donne escono dalla coltre del silenzio e dell’omertà.

La cosa grave è che, a questi report redatti in modo così scientificamente scorretto, attingono addirittura le specifiche Commissioni Parlamentari che, infatti, alla fine producono documenti a dir poco imbarazzanti per il pressapochismo che li

contraddistingue. Esemplari in questo senso le oltre 400 confuse pagine della relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, in cui si cita ben 136 volte la parola “femminicidi/o”, si continua a darne l’esatta definizione, salvo poi confondere i dati con quelli dei “semplici” omicidi di donne, senza riuscire mai a fornire il numero esatto dei veri femminicidi registrati in un anno. Relazione in cui, appunto, si cita quanto riportato dalla Casa delle donne, con la micidiale postilla “Dati raccolti sulla stampa”.

Nell’ottobre del 2018, il quotidiano locale Alto Adige lancia l’allarme di Bolzano terza città di Italia per casi di violenza sulle donne. Essendo una città relativamente tranquilla e sempre al top nelle classifiche sulla vivibilità, indirettamente, il giornale faceva intendere che nel capoluogo altoatesino si registrasse un particolare odio contro il genere femminile. Altrimenti, come spiegare questa discrepanza dei dati citati? Ebbene, per chi non è completamente estraneo alla statistica e alla sociologia è chiaro che il numero di denunce non registra il numero di reati, bensì solo il numero di denunce stesse. Quindi, allo stesso modo, se a Crotone si registrano meno denunce per furto rispetto ad Asti, questo non significa affatto che i reati siano realmente minori. Paradossalmente, il dato di Bolzano, dove si denunciano più violenze sulle donne che altrove, è positivo perché, assai probabilmente, significa che la rete sociale della solidarietà contro la violenza sulle donne e la lotta a questi ignobili crimini da parte delle forze dell’ordine sono più efficaci che altrove.

Come già detto sopra, la cartina di tornasole dell’omicidio – il più efferato dei reati – ci riporta come andamento una diminuzione non graduale negli anni ma proprio esponenziale, drastica. Non esiste nessun motivo che possa giustificare gli allarmismi di una recrudescenza della violenza. Questo vale appunto in generale, ma anche nello specifico della violenza di genere. Gli omicidi di donne sono un fenomeno stabile, tendenzialmente in calo qualsiasi sia l’anno preso come riferimento: oscillano fra i 160 (1998) e i 131 (2010). Non c’è bisogno di inventare cifre balzane e di firmare appelli alla creazione di “task force” ministeriali, e commissioni parlamentari, per sapere che i colpevoli vanno arrestati, perseguiti, condannati severamente. Le leggi già ci sono.

Linda Laura Sabbadini, che ha diretto le indagini Istat del 2006 e anche quella del 2014 con un gruppo di donne, spiega: “Questo è il momento migliore per agire con politiche mirate e adeguate, per sostenere con forza i Centri Antiviolenza, le operatrici e operatori dei servizi anche delle forze dell’ordine e sviluppare l’educazione alle relazioni tra i generi nelle scuole, oltre a far capire che uscire dalla violenza si può e come”. Perché, rispetto all’indagine precedente, quella del 2006, “qualcosa sta cambiando. La violenza contro le donne sta diminuendo in tutte le sue forme, fisica, sessuale, psicologica anche se quella meno grave. Più donne considerano la violenza subita un reato, niente affatto ineluttabile, il che vuol dire che abbiamo segnali di maggiore consapevolezza femminile. Potrebbe essere che più donne interrompono la relazione con il violento prima che la situazione precipiti. Aumentano anche le denunce, pur sempre però una piccola percentuale, e cresce il numero di donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza. Ma aumenta la gravità della violenza e la percentuale di donne che hanno avuto paura per la loro vita e si mantiene lo zoccolo duro di stupri e femminicidi.”


Una volta stabilito che non esiste alcun fenomeno di recrudescenza della violenza contro le donne, passiamo alla seconda e più dura delle affermazioni sopra riportate. Cosa significa “Gli uomini uccidono le donne come le donne uccidono i bambini”? La violenza, compresa quella di genere, è soprattutto una questione di potere. “Le donne sono più spesso vittime della violenza non perché siano meno ‘cattive’ o più ‘buone’ degli uomini, ma perché storicamente si sono sempre trovate nella situazione di debolezza. Scontano secoli di sottomissione, interiorizzata da chi la esercita e da chi la subisce.Più deboli di loro ci sono solo i figli, spesso considerati l’unico ambito su cui si esprime il loro potere. E infatti a volte le madri uccidono i figli. Anche per ‘vendicarsi’ dei mariti”, come sottolinea la filosofa Iris Murdoch.

Le statistiche dell’ Ami (Associazione Matrimonialisti Italiani), che prendono in esame i dati dell’ISTAT (www.istat.it), riportano che dal 1970 al 2008 si siano consumati 378 infanticidi, con la media di circa 9,9 all’anno. Gli autori degli infanticidi (da zero a sei anni) sono nel 90% dei casi le madri. Dal 2001 al 2008, vi sono stati 58 infanticidi commessi dalle madri. Si tratta di 58 infanticidi in 7 anni, ovvero 8,28 infanticidi all’anno, ma il numero è sempre in declino (sono stati 3 nel 2010, 2 nel 2011, e 2 nel 2012), da quando è entrata in vigore la legge sul così detto parto anonimo (DPR 396/2000, art. 30, comma 2).

Altre statistiche criminologiche, nello specifico del fenomeno del figlicidio, mostrano dati meno sbilanciati sulle donne. Su un totale di eventi omicidiari pari a 223, all’interno dei quali si ritrovano coinvolti 233 autori, il 45,9% sono maschi ed il 54,1% sono femmine e 258 vittime, delle quali il 51,9% sono maschi e il 48,1% sono femmine.

Comunque sia, questi dati dimostrano inequivocabilmente come la violenza femminile si concentri sui bambini, essendo questi più esposti alle donne a livello temporale rispetto agli uomini (esattamente come le donne hanno una più alta possibilità di essere uccise in famiglia che da uno sconosciuto), ed essendo fisicamente più vulnerabili alla forza fisica delle stesse, cosa che generalmente non si realizza con gli uomini adulti. Le donne uccidono meno gli uomini perché sono fisicamente, non tanto moralmente o culturalmente, meno portate a farlo. Le donne uccidono maggiormente i bambini per gli stessi motivi. Le donne uccidono percentualmente più donne che uomini, sempre per gli stessi motivi. Infatti, le donne assassine uccidono nel 39% dei casi donne, e nel 61% dei casi uomini. Gli uomini assassini uccidono nel 31% dei casi donne, e nel 69% dei casi uomini.

Naturalmente, questo non significa che non ci si debba impegnare in campagne contro la violenza, che rimane fenomeno endemico e da debellare per quanto possibile, ma bisogna stare attenti agli allarmismi che direttamente o indirettamente ci spingono a credere che la nostra società stia diventando sempre più insicura e violenta quando è palesemente vero il contrario.


Ma alla fine, allora, quanti sono i femminicidi veri e propri in Italia? Purtroppo, per rispondere a questa domanda, non ci si può informare sui media, neppure su quelli mainstream. Leggendo “l’Espresso”, ad esempio, la disinformazione regna sovrana e così, nell’elenco sottostante al grande titolo “Femmiicidi”, si trova pure la povera Desiree, uccisa dai suoi spacciatori, o Maria Oberhollenzer, morta a causa di una pratica erotica estrema. La postilla “donne uccise in Italia” dimostra quanto la retorica sull’argomento giochi sulla confusione dei termini e spacci tutti gli omicidi di donne per femminicidi in senso stretto. Come detto in precedenza, neppure le Commissioni Parlamentari e i dati delle associazioni sono affidabili. Rimarrebbero i dati ufficiali Istat, se non fosse per un dettaglio: anch’essi trattano in generale degli omicidi di donne e non già dei femminicidi in senso stretto.




E perché mai questa carenza, vista la grande attenzione sul tema? La risposta è semplice: esattamente come per gli infanticidi, i femminicidi sono talmente pochi che per fare una statistica seria mancano numeri assoluti. Se gli omicidi di donne non superano i 150 casi l’anno, ecco che i femminicidi veri e propri – che ne sono un sottogruppo – si attestano tra i 40 e i 50 casi l’anno. A svelarcelo sono i dati (parziali, relativi ai primi 9 mesi del 2018) della Polizia di Stato. Sono stati contati 32 femminicidi, nei primi 9 mesi del 2018. Calcolando un 25% in più si potrebbe arrivare esattamente a 40. Siccome la prudenza non è mai troppa, ipotizziamone pure 50. 50 è la metà di 100. Questo significa che due morti all’anno in più o in meno determinano una variazione del +/- 4%, che sarebbe statisticamente rilevante se non si basasse, appunto, su numeri di partenza così esigui, tanto da minare alla base la validità stessa di una statistica del genere. Per intenderci, sarebbe come pretendere di fare statistiche sul numero di terremoti mortali in Italia nell’arco di un anno, o ancora, sulle vittime di incidenti stradali a Malta che, per la cronaca, nel 2013 sono aumentate incredibilmente del 100% rispetto all’anno precedente passando, infatti, da 9 a 18.

Per concludere, in Italia, non esiste alcuna “emergenza nazionale femminicidio”. I femminicidi sono ai minimi storici in Italia e nel mondo. Hanno raggiunto una quota talmente irrisoria da risultare quasi residuale. Dovremmo porci come esempio, invece ci autoflagelliamo e ci presentiamo a noi stessi e al mondo come un’eccezione negativa. È veramente paradossale.

P.S: dopo la biografia dell’autore, i lettori troveranno tutti i link bibliografici a supporto delle tesi suggerite nell’articolo.


Andreas Perugini

articolo pubblicato da ildetonatore.it il 14/10/2020

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